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Agorà in viaggio

11/10/2011

Zaijian!

03/10/2011

È praticamente impossibile riassumere in poche righe di ringraziamenti quello che è per me il significato di questa avventura di cinque mesi in Cina, ma ci proverò ugualmente per dimostrare la gratitudine verso tutte le persone coinvolte direttamente o indirettamente in questo progetto; amici e amiche che mi hanno aiutato, supportato, ispirato, dato idee sempre nuove per svolgere al meglio il mio lavoro con Agorà e per scrivere questo diario di viaggio, che spero sia piaciuto a tutti voi e vi abbia dato almeno una vaga idea della meraviglia infinita che è questo paese.

E allora cominciamo con i miei compagni di viaggio delle prime due settimane: Cecilia, Daniela, Luca e Manuele. Grazie di tutto, siete stati grandi, sempre presenti e disponibili anche dopo il ritorno a casa. Inutile dire che i giorni più belli del viaggio sono stati quelli in cui c’eravate anche voi!

Grazie al team CNR-PSC, a Francesca Messina, Patrizia Cecchetto, il mio amico ma soprattutto bassista Filippo Sozzi, Giovanni Filocamo, Alberto Ravazzolo, Filippo Novara, Luciano Marigo e tutto il resto dello staff: grazie per l’aiuto costante, l’amicizia, la simpatia e la disponibilità infinita.

Grazie a Manuela Arata, all’Associazione Festival della Scienza e allo staff al gran completo, in particolare a Raffa, Secs ed Emma per le ‘dritte’ su Pechino. Ci vediamo a Zena tra qualche giorno con la mostra sulle isole, e a tal proposito, grazie al mio amico e collega Paolo Degiovanni per aver tenuto in piedi la baracca mentre me ne andavo in giro per il mondo, ti devo almeno qualche pinta di birra per sdebitarmi!

Grazie ad Adriana Chen per l’amicizia, la simpatia, la disponibilità, le traduzioni, i cd e sostanzialmente per essere un mito, la migliore cinese di sempre! Vedrai che questi mesi in Italia voleranno e saranno divertentissimi!

Grazie al Prof. Paolo Sabbatini Rancidoro e all’Istituto Culturale Italiano di Shanghai per il supporto costante, la gentilezza e la disponibilità. Complimenti per la bellissima manifestazione sulla calligrafia e speriamo di vederci prossimamente a Praga, chissà che il Festival non arrivi pure lì! Grazie inoltre al Prof. Giorgio Casacchia per aver presenziato all’inaugurazione ad Hong Kou in rappresentanza dell’Istituto.

Grazie a Dionisio Cimarelli per il bellissimo libro con le tue opere, per essere venuto a trovarci e per la chiacchierata sui ‘massimi sistemi’ a Jing’An. Complimenti vivissimi, le tue sculture sono stupende. Grazie ad Andrea, il mio ‘compagno di gita’ a Badaling, per avermi fatto parlare in italiano per quasi un giorno intero, per le chiacchierate sui viaggi da fare in Cina e per la foto ‘asteriscata’ sulla Grande Muraglia, è venuta benissimo! Grazie a Marius, mio compagno di viaggio al ritorno da Pechino, e in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti.

E ovviamente grazie a tutti i miei amici, alla mia famiglia, a tutti i lettori del blog e a tutti quelli che dall’Italia non mi hanno fatto sentire solo nemmeno per un secondo, anche se non ce n’era davvero bisogno! Grazie di cuore a tutti.

Now, let’s move to my greetings and thanks in English. First of all a big thank you to all the Shanghai Association for Science and Technology for your constant help and support. Thanks to Vicky Xiao, Nancy Lin, Wu Bao Wei, Chris, AiHua, Laura, Yuki Mao, Mr. Chang, Mrs. Wu, Mr. Chen and everyone else in SAST which has made such a great effort to make this exhibition work at its best in every occasion.

Thanks to my explainers team: Tim, many thanks for your help (especially in Jing’An) and all your good work. If not this year, I hope to see you in Genova soon! Thanks to Key, you’ve made an amazing job, man. Thanks to Matthew, Fiona (thank you for the moon cake!) and Gaby, for your friendship, for being there and making always a great effort for the exhibition. Thanks To Michael, Sarah, Haze and everyone else involved in the Shanghai training and exhibitions, I had great fun working with you all and I really long to see all of you again in the future.

Many thanks to all the workers involved in setting up, dismantling and moving the exhibition throughout these five months, your work has been truly appreciated. Many thanks to Leo from The Low Carbon Experience, I hope to cooperate with your association in the future. Thanks to Jo and all the team involved in the Taicang days, and all the staff of the LOFT Design Center in Taicang City.

Thanks to the Zhejiang Association for Science and Technology: Pan Wen, Zhu Jian Min, Jiliang Guo, Ruihong Li, Dong Kejun, Shen Xin Mei and Zhang Shi Dan. Many thanks to Bing and Jackie for your support and help and for your company at the Lingyin temple and at the Song Dynasty show. A very big thanks and hello to Tracy (see you in Genova in few days!), Maggie, Ying Lijian, Mr. Chu and all the explainers and volunteers from the Zhejiang Science Center in Hangzhou for precious efforts and constant help.

Thanks to the Jiaxing Ke Ji Guan, to all the staff of the museum, to Mr. Chen, Jackie and Sunshine for the constant help during my Jiaxing days. Thanks to my ‘random friends’ of Jiaxing whose names I will never learn, to Liu Jian Sun and to the Children’s Channel of Zhejiang Television.

Thanks to all the staff in the Hong Kou Youngster’s Activity Centre, and to all the explainers and volunteers who worked there. Thanks to everyone involved in the exhibition in Min Hang and all the workers who managed the last Agorà date.

And finally, thanks to everyone I’ve worked with, or just met or talked to, to everyone who made my Chinese days so wonderful and to everyone I forgot or whose name I didn’t manage to know. I promise if we will get to see each other again I will thank you in a much better way, using your beautiful mother tongue, which reflects the greatness and beauty of your amazing country.


Xie Xie, Zhongghuo.

再见,

方索

Ultima tappa: Min Hang!

26/09/2011

Spulciando tra le migliaia di foto che ho scattato in questi mesi in giro per la Cina comincio veramente a realizzare quanto questo viaggio insieme ad Agorà sia stato lungo e variegato. Quelle tipiche reazioni di incredulità del tipo “ma veramente sono stato in questo posto?”, “ma davvero ieri ero lì?”, “non mi ricordavo quanto bello fosse quel paesaggio” di fronte alla miriade di immagini di città, campagne, paesi e volti della Terra di Mezzo che ho immortalato mi fanno realizzare come, tra le tappe al seguito della mostra e le deviazioni sul percorso, abbia visto una quantità di luoghi che, per soli cinque mesi scarsi di peregrinare,  è davvero notevole.

Ciononostante, la lunghezza di questo viaggio ancora di più mi aiuta a realizzare quanto infinitamente grande sia l’Impero Celeste e quanto poco di esso sia riuscito a vedere. Uno dei pochi libri che mi hanno accompagnato durante questa avventura è stato La Cina in vespa del compianto Giorgio Bettinelli, regalatomi il giorno prima della partenza. Il celebre Mr.Vespa, dopo aver girato il mondo più volte a bordo della sua due ruote, si era sposato con una donna cinese e si era stabilito a JingHong, nella regione meridionale dello Yunnan, dove aveva vissuto per un paio di anni prima di intraprendere l’ennesima avventura raccontata in questo libro: un viaggio in vespa di quarantamila chilometri, durato 18 mesi e che aveva toccato tutte e 34 le provincie e municipalità della Cina. E lui stesso nel corso della narrazione, dopo più di 4 anni trascorsi al suo interno, affermava di cominciare a malapena a capirci qualcosa di questo immenso punto interrogativo che è rappresentato dalla Cina moderna; figuriamoci io, che in pochi mesi ne ho visto poco più che un assaggino. Bettinelli purtroppo è scomparso tre anni fa a causa di un malore durante la preparazione di un altro grande viaggio in vespa, questa volta in Tibet. Chissà che meraviglia sarebbe stato. Rest in Peace Mr. Vespa, e grazie per avermi fornito l’unica vera, completa ed affidabile guida turistica che abbia usato durante questi mesi di permanenza nel meraviglioso paese che tu amavi così tanto.

Queste sono le tipiche riflessioni che il viaggiatore comincia a fare quando sente avvicinarsi sempre più il giorno del ritorno a casa e degli addii (ma più probabilmente degli arrivederci) ed in effetti tutto questo è assolutamente naturale dato che da alcuni giorni Agorà ha raggiunto la sua ultima tappa, ovvero il Min Hang district di Shanghai.

   

Con i suoi due milioni e mezzo di abitanti e le sue dimensioni da città europea medio-grande, Min Hang è un quartiere popolare che si estende a sud dell’area urbana della megalopoli, ed è ben diverso dalle sue zone più commerciali e moderne: niente grattacieli, niente centri commerciali o boutiques di Zara, niente turisti, tantomeno occidentali. A Min Hang si trovano soprattutto case popolari, scuole, sedi universitarie e campi sportivi; e proprio in un centro dedicato principalmente ad attività sportive ed in generale ad eventi per i più giovani che Agorà viene ospitata nella sua ultima tappa, all’undicesimo piano di un palazzo il cui lunghissimo nome eviterò di tradurvi, circondato da campi da calcio a 11, basket, tennis, badminton nonché piscina olimpionica. “Mostra con vista” verrebbe da dire, dato che dall’undicesimo piano si può godere di un panorama splendido, trovandosi nel palazzo più alto della zona, dal quale si possono vedere i tetti rossi tipici delle vecchie case di Shanghai che si ripetono per chilometri e chilometri in tutte le direzioni; un’altra definizione calzante potrebbe essere “mostra allegra”, dato che si trova di fronte ad un asilo nido, a poche centinaia di metri da alcune scuole elementari, e lungo Gaoxin lu, letteralmente “la via felice”!

E di certo l’inizio è stato molto più che felice: soliti lavori di allestimento, solita cerimonia di apertura presenziata dalle autorità della SAST (come sempre cordiali e alla mano) e dai rappresentanti del quartiere di Min Hang, solito pubblico delle occasioni che contano, in questo caso un nutrito gruppo di pensionati provenienti da un centro per le attività della Terza Età poco distante dalla nostra location, che hanno reso divertente e giocosa (ma per fortuna tranquilla!) la giornata di apertura.

              

Nei giorni successivi, nonostante la difficoltà nel raggiungere la location dal centro città (poche linee di autobus e circa 20 min a piedi dalla più vicina fermata della metro) che mi aveva fatto dubitare in grandi afflussi di pubblico, la mostra è stata spesso visitata da gruppi, ma forse il termine ‘orde’ è più adatto, di centinaia e centinaia di bambini provenienti dalle scuole adiacenti, che da un lato ci hanno dato grande soddisfazione confermando il successo delle tappe precedenti, dall’altro hanno reso tutt’altro che leggere e rilassanti le ultime giornate di lavoro, con exhibits fuori uso da riparare, pezzi da sostituire, grandi gruppi di persone da gestire. Giorni divertenti e faticosi ma a conti fatti anche gli ultimi del tour, quindi tutto sommato va bene così, bisogna solo tener duro fino alla fine.

Il conto alla rovescia prima della partenza è cominciato e visto che ormai rimangono pochi giorni di mostra e poi ci sarà un disallestimento da fare ed un container da riempire per il ritorno in Italia di Agorà, bisogna sfruttare questi giorni per visitare gli ultimi angoli remoti di Shanghai ancora non visti; tra questi c’è il mercato tradizionale di Qi Bao road  con le sue lanterne rosse, le basse case tradizionali, i negozi di souvenir, le tea houses, i canali solcati da imbarcazioni a remo, i negozi alimentari all’aperto e l’acre odore di tofu fritto e spiedini alla brace che intorpidisce le narici e ti fa finalmente provare quelle sensazioni di Cina autentica che nel resto di Shanghai sono diventate sempre più rare con l’avvento di centri commerciali e grattacieli. Questo “piccolo mondo antico” si può vedere bene all’ingresso della water town, dove una statuetta a forma di porcellino in mezzo ad uno stagno viene presa di mira dal lancio delle monetine dei passanti: ovviamente per chi centra la schiena aperta a mò di salvadanaio ci sarà un po’ di fortuna extra nella vita. Allo stesso modo qua e là in giro per gli specchi d’acqua e i parchi di tutta la Cina si possono vedere bocche di drago, vasetti, salvadanai o anche ranocchie con la bocca spalancata, tutti bersagliati da migliaia e migliaia di monetine, a dimostrare che quel piccolo vecchio mondo delle superstizioni e dell’ingenuità popolare è rimasto tutto sommato intatto nonostante secoli di cambiamenti politici ed economici e questi ultimi anni di sfrenata modernizzazione.

      

Prima di concludere salto di palo in frasca per sfatare un paio di miti gastronomici cinesi su cui molti si interrogano: intanto se gli involtini primavera e le nuvole di drago qui esistano davvero oppure siano solo una creazione per i ristoranti cinesi in Occidente. Ebbene sì, esistono anche in Cina, sebbene non siano così diffusi come verrebbe da pensare e soprattutto hanno origini regionali ben definite essendo diffusi principalmente nel sud del paese, in particolare nella zona di Guangzhou (Canton), i cui piatti sono l’unico tipo di cucina cinese conosciuto in Occidente. L’abitudine di utilizzarli come antipasto è invece più occidentale: in Cina gli involtini primavera sono mangiati per lo più a colazione, mentre le nuvole di drago spesso fanno da contorno o addirittura da semplice abbellimento ad altri piatti. L’altro mito gastronomico sui cinesi dice che questi mangino il cane regolarmente: ebbene, in cinque mesi di permanenza e dopo aver pranzato in qualche centinaio di ristoranti e locali sparsi da nord a sud del paese non ne ho visto uno solo che avesse sul menù un piatto che, laddove esistesse, vien facile pensare sia un’attrattiva per qualche turista voglioso di raccontare “ho mangiato il cane, ho mangiato il cane!” una volta tornato a casa. In effetti a tal proposito il mio amico Tim si è detto sorpreso del fatto che fossi l’unico occidentale con cui avesse  lavorato negli ultimi anni a non avergli chiesto di un ristorante dove mangiare il cane, e mi ha detto di conoscerne soltanto uno fuori Shanghai, una città di 30 milioni di abitanti, giusto per far capire quanto sia diffusa questa ‘abitudine’ che peraltro, è bene precisarlo, è stata diffusa per secoli in varie parti del mondo e non soltanto in Cina.

(AGGIORNAMENTO del 30 settembre: oggi è nuovamente uscito fuori il discorso, e a quanto pare c’è una via in Shanghai dove si possono trovare alcuni locali che servono il cane… con la precisazione che si tratta di ristoranti coreani gestiti da immigrati coreani e all’interno del quartiere coreano!)

C’è decisamente poco altro da aggiungere, bisogna solo prepararsi fisicamente per gli ultimi giorni di duro lavoro e psicologicamente per l’addio alla Cina e il rientro in aereo, che avverrà solo dopo la partenza del container con gli elementi della mostra; nel frattempo bisognerà cominciare a fare mente locale e a stilare una –lunghissima- lista di ringraziamenti per tutte le persone coinvolte in questa meravigliosa avventura cinese a cui dovrò dedicare il prossimo post, l’ultimo scritto in terra d’Oriente. E forse sarà questo, molto più che exhibits da smontare o containers da caricare, a rivelarsi il compito più arduo da svolgere prima della partenza.

Zaijian,

fonso

Note suonate, note scritte, note sparse.

20/09/2011

Da qualche mese a questa parte un magico mondo di suoni, note e armonia mi circonda: la musica cinese tradizionale ha in sé una magia e una bellezza ineguagliate e ineguagliabili. Le particolarità dei suoni e dei timbri degli strumenti, la costruzione di scale e accordi, le atmosfere magiche e sognanti rendono le armonie della Terra di Mezzo riconoscibili tra mille altre.

Anche Agorà, nel parlare delle conoscenze e della cultura del mondo antico, non poteva certo escludere una dottrina fondamentale come la Musica ed ecco che, in mezzo ad exhibits che parlano di Matematica, Fisica e Ingegneria antica, spunta all’improvviso una chitarra molto particolare.

Creato da Pitagora e conosciuto col nome di monocordo, questo strumento particolare mette in relazione la tonalità delle note suonate con la lunghezza della corda che le emette. In realtà nonostante il nome la ‘chitarrina pitagorica’, come viene spesso chiamata, non ha una ma due corde accordate alla stessa tonalità.  Un paio di indicatori segnalano l’esatta metà e i due terzi della lunghezza della corda, corrispondenti all’ottava  e alla quinta giusta: nel primo caso, se la corda a vuoto è un DO, bloccandola a metà si ottiene un DO più alto dell’ottava successiva, mentre nel secondo si ottiene un SOL. Per verificare ciò  si possono suonare in contemporanea la corda a vuoto insieme all’altra, bloccata però ad una lunghezza predefinita, ottenendo dei mini-accordi che suonano armoniosamente solo quando la lunghezza della parte bloccata è corretta.

Questo strumento ha fatto la sua prima comparsa al Festival della Scienza alcuni anni orsono nel corso della mia mostra ‘Physix’n’roll’, nella versione ‘festival in Liguria’ a Sanremo: oh, sì, ho fatto proprio il Festival – della Scienza però – a Sanremo! Durante la mostra veniva spiegato proprio come dagli strumenti a corda (monocordo in primis, ma in seguito tutte le sue evoluzioni) si suppone sia nata la definizione esatta delle note musicali, e, molto più in seguito, un sistema di notazione fisso e universale. Un approfondimento su questi argomenti si può trovare nel ‘manuale’ che ho scritto per Physix’n’roll, scaricabile da questo indirizzo.

 

Il motivo per cui la musica cinese appare così affascinante alle orecchie degli ascoltatori occidentali è facilmente identificabile: gli strumenti musicali della tradizione cinese hanno suoni leggermente diversi rispetto a quelli occidentali, pur essendo riconducibili alle stesse ‘famiglie’: chitarre e chitarrine, violini e viole, arpe, percussioni, flauti dritti e traversi. Il suono e le scale che di solito vengono utilizzate nelle frasi armoniche sono però leggermente diversi ed è questo che rende le loro melodie così affascinanti. Essendo anch’io musicista sto cercando di ascoltare ed assorbire quanta più musica cinese sia possibile, nella speranza di metabolizzarla e poterla poi riutilizzare nelle mie creazioni. In tal senso sto progettando l’acquisto di un Jinghu, un piccolo violino a due corde con una piccola cassa di risonanza cilindrica ricoperta da una membrana di pelle di serpente. Le frasi soliste della musica tradizionale spesso vengono dal suono squillante di questo strumento, che è tanto piccolo di dimensioni quanto potente nel volume.

   

Nella tradizione dei musicisti ambulanti poi questo strumento è diffusissimo, anche se non è l’unico: spesso si trovano cantanti che si esibiscono direttamente su basi preregistrate, ma anche bande musicali al gran completo e ogni tanto qualche coro improvvisato in mezzo alla strada da presunti ‘direttori’ dotati di fisarmonica per suonare la base oltre a testi e spartiti da leggere, per tutti i passanti che si vogliano unire ai canti.

   

Oltre alla tradizione c’è anche la modernità: la mia amica Adriana, poco prima di partire per l’Italia (eh già, cinesi che vanno in Italia, italiani che lavorano  in Cina… che mondo rovesciato!), mi ha regalato un paio di cd della 12 Girls Band, un gruppo di ragazze provenienti dai conservatori di tutto il paese, selezionate alcuni anni fa in un concorso in mezzo a migliaia di candidate e tutte virtuose degli strumenti tradizionali, che portano in giro per il mondo brani cinesi ma talvolta anche occidentali, riarrangiati però in uno stile maggiormente moderno e pop rispetto alla tradizione più pura.

Gran parte dei generi occidentali sono arrivati fin qui e sono stati assimilati dai musicisti cinesi: esistono un gran numero di gruppi rock e pop, ci sono i talent shows in tv e i B-boys in giro per strada, esistono l’heavy metal, il punk e persino la musica rap che, per quanto strano possa sembrare, si fonde alla perfezione con i suoni del mandarino. Tanta musica occidentale è arrivata fin qui, anche se principalmente si tratta di artisti mainstream e dell’ultima o penultima generazione: da Lady Gaga ad Avril Lavigne, da Madonna a Michael Jackson. Sulla  roba un po’ più datata le conoscenze sono più limitate, anche se i Beatles, come ovunque al mondo, anche qui li conoscono tutti.

Non esiste però solo l’arte della Musica: alcuni giorni fa sono stato invitato dal nostro amico, il Prof. Sabbatini dell’Istituto Italiano di Cultura a Shanghai, per un incontro di conoscenza e scambio tra Italia e Cina sull’antica arte della Calligrafia a cui hanno partecipato svariati artisti, tra cui alcuni monaci buddhisti che, armati di inchiostro e pennello tradizionale, hanno mostrato in tempo reale ai presenti come nasce un’opera di arte calligrafica cinese. Dal canto nostro, anche per la tradizione europea la bella scrittura era un’arte da coltivare e tramandare, e in rappresentanza dell’Italia erano presenti alcuni splendidi pannelli, creati dallo stesso Sabbatini, con citazioni del missionario Matteo Ricci, un’altra figura fondamentale nella storia degli scambi culturali tra Italia e Cina.

 

 

La Cina ha una tradizione artistica così ricca e varia che non basterebbe una vita intera per riuscire ad averne una visione completa. L’unica cosa che si può fare è essere aperti, ascoltare, leggere, capire e sfruttare nel modo migliore questi ultimi giorni in terra d’Oriente, cercando di assorbire come delle spugne la cultura che ci circonda, per avere un bagaglio di conoscenze arricchito al massimo prima del ritorno a casa, che purtroppo si avvicina sempre di più: siamo ormai all’ultima tappa di Agorà e il rush finale è già cominciato…

Zaijian,

fonso

2011年09月11日 – Shikinsou

11/09/2011

L’11 settembre di 10 anni fa un orribile gesto di uomini contro altri uomini creava migliaia di lutti negli Stati Uniti. L’11 settembre del 1973 altre atrocità di uomini contro altri uomini causava migliaia di morti in Cile. Ho trascorso questa giornata di lutto per l’Umanità intera a Nanchino, città che ha vissuto molti anni fa altri crimini compiuti da uomini contro altri uomini.

All’interno del memoriale che ricorda queste atrocità c’è una piccola statua raffigurante una bambina, a fianco ad un grande giardino fiorito. Ogni giorno, da quattro anni a questa parte, in mano alla bambina viene messo un fiore appena colto. Di fianco c’è una targa che racconta di una piccola storia che però è importante, perché è un gesto compiuto da uomini per altri uomini, che ci fa sperare in un futuro migliore per tutti noi. Ecco cosa c’è scritto:

Shikinsou

La traduzione dal giapponese di Shikinsou è “Orchidea di febbraio”.

Nel 1939 Seitaro Yamaguchi, presidente della fabbrica di materiali sanitari dell’esercito giapponese, collezionò i semi del fiore ai piedi della “Montagna Viola” di Nanchino e li portò con sé in Giappone.

Terminato il conflitto, come gesto di riflessione sulle atrocità della guerra e come preghiera per la pace, Yamaguchi e i suoi discendenti si dedicarono per decenni alla coltivazione del fiore in patria e lo chiamarono “Shikinsou”.

Adesso l’Orchidea di Febbraio fiorisce in ogni parte del Giappone, ed è conosciuto come il “Fiore della Pace”.

Quando questo Memoriale venne ampliato nel 2007 l’ottantatreenne Hiroshi Yamaguchi, figlio di Seitaro Yamaguchi, riuscì a raccogliere 10 milioni di Yen di donazioni da ogni parte del Giappone per creare il “Giardino del Shikinsou” al suo interno, come simbolo dell’unione delle preghiere per la pace di Cinesi e Giapponesi.

Hong Kou, Hypatia & the movies

10/09/2011

Finito il lungo tour della regione dello Zhejiang tra le città di Hangzhou e Jiaxing, durato oltre due mesi, la mostra Agorà è ritornata laddove era partita ai primi di maggio ovvero a Shanghai, questa volta però nel distretto settentrionale di Hong Kou.

In questo caso i nostri exhibits sui grandi scienziati dell’Antichità sono stati ospitati nel grande centro per la gioventù del distretto e in corrispondenza di un evento chiamato Genius, insieme ad altre mostre sulla Matematica, la Fisica e la storia della Scienza; alcune di queste già le conoscevamo, dato che avevano condiviso con noi gli spazi espositivi a Shanghai Pudong e a Taicang City.

  

Oltre a incontrare altre mostre già conosciute in precedenza, è stato bello ritrovare alcuni amici che ci avevano accompagnato nel primo mese di questa avventura cinese: animatori scientifici, colleghi, operai e anche alcune autorità della SAST (Shanghai Association for Science and Technology) che hanno presenziato con gran simpatia e cordialità alla cerimonia di apertura. Come sempre durante tutto il tour, le autorità locali hanno dimostrato un talento veramente raro nel dimostrarsi ospitali e accoglienti e nel far sentire il nostro lavoro veramente importante e seguito con attenzione.

 

Alla cerimonia di apertura hanno partecipato non solo esponenti di organismi pubblici, televisioni, giornali e visitatori casuali, ma anche gli alunni di alcune classi al primo giorno di scuola, ordinatissimi e in divisa, che però al ‘rompete le righe’ dopo i discorsi di rito e le presentazioni ufficiali si sono lasciati andare come tutti i piccoli visitatori di Agorà in questi mesi, provando, interagendo, sperimentando, giocando.

  

Ancora una volta abbiamo registrato un grande successo di pubblico, forse anche per la brevissima durata dell’esibizione (soltanto una settimana) e, come sempre, un grande livello di interesse nei contenuti della mostra e della storia antica del Mediterraneo, poco conosciuta qui in Cina così come i nomi dei grandi scienziati, autori degli esperimenti e dei teoremi che presentiamo.

    

Ancora una volta gli animatori scientifici si sono rivelati preziosi per rendere gli exhibits chiari e comprensibili a tutti e, dato che li conoscevano già, anche per dare un grosso aiuto al sottoscritto nell’evitare danni o malfunzionamenti: eh sì, perché per quanto educato e rispettoso possa essere il pubblico cinese, i bambini sono sempre bambini in qualunque parte del mondo e il ‘carico di portata’ di migliaia e migliaia di piccole pesti che muovono, toccano, spingono e saltano su oggetti in legno e plastica a lungo andare può portare a danni gravi, anche solo per semplice usura. E dopo vi voglio vedere ad andare in giro per i negozi di Shanghai a dire ‘mi servirebbe dello stagno per saldature’ in mandarino.

 

Ciononostante, abbiamo ormai completato la penultima tappa di questo lungo tour cinese e gli exhibits hanno ‘tenuto botta’ senza grossi danni. Considerate le migliaia e migliaia di persone che li hanno utilizzati questa è una bella soddisfazione.

Tra questi exhibits ce n’è uno che è un po’ a sé stante: è più semplice, non contiene elementi elettronici complessi, meccanismi o ingranaggi di vario genere, ma si tratta di una semplice vasca piena di sabbia con due pali verticali al suo interno, una corda chiusa intorno a loro, e un altro bastone libero, più lungo. Infilando questo bastone dentro la corda e tenendola in tensione è possibile disegnare con precisione un’ellisse sulla sabbia utilizzando il cosiddetto ‘metodo del giardiniere’, conosciuto fin dall’antichità.

Questo exhibit serve come spunto per raccontare le vicende di una grande scienziata e filosofa dell’Antichità, Ipazia. Questa figura storica è, così come l’exhibit che parla di lei, un po’ a sé stante all’interno di Agorà per motivi prettamente storici: mentre tutti gli altri scienziati di cui trattiamo risalgono al II o III Secolo a.C., Ipazia invece visse ad Alessandria d’Egitto a cavallo tra il IV e il V Secolo d.C., quindi in un contesto completamente diverso. A parte il differente periodo storico però la sua figura rientra perfettamente negli argomenti trattati da Agorà, sia per i suoi studi in campo matematico, astronomico e filosofico sia perché visse, così come Archimede, Pitagora e gli altri, lungo le coste del Mediterraneo, culla del pensiero occidentale.

Da molti ritenuta un’eroina della libertà di pensiero, Ipazia visse in un periodo di grandi tumulti: la città di Alessandria d’Egitto era scossa da continui scontri tra Pagani, Ebrei e Cristiani che spesso e volentieri sfociavano in violenza gratuita contro le cose e le persone; i danni furono in certi casi gravissimi e portarono tra l’altro alla distruzione della più grande biblioteca dell’Antichità e all’uccisione della stessa filosofa per mano di un gruppo di fanatici cristiani.

Ipazia fu anche astronoma e il legame con l’exhibit che di lei parla è semplice: al giorno d’oggi sappiamo che i pianeti del sistema solare compiono un’orbita ellittica e non circolare attorno al sole, e che la nostra stella occupa uno dei due fuochi dell’ellisse (che nella vasca di sabbia sono rappresentati dai due paletti); in un film biografico sulla scienziata alessandrina chiamato, guardacaso, Agorà, si vede la protagonista teorizzare questo sistema e per spiegare tale concetto Ipazia utilizza proprio il metodo del giardiniere, disegnando un’ellisse nella sabbia. La realtà storica è probabilmente diversa, dato che non ci sono prove a dimostrare che Ipazia abbia immaginato un sistema eliocentrico prima di Keplero o Galileo, né autonomamente né basandosi su studi simili di altri scienziati dell’Antichità come Aristarco da Samo; in ogni caso questo è un ottimo spunto per narrare alcuni eventi storici degni di nota e per ricordare il pensiero di una grande mente del passato.

A me invece Agorà (il film, non la mostra!) serve come spunto per saltare di palo in frasca e parlare di un argomento completamente diverso come il cinema in Cina, dato che alcuni amici mi hanno chiesto ‘cosa si guarda lì’ o ‘che cosa arriva da quelle parti’, riferendosi ai film occidentali. La risposta è molto semplice: di tutto. Dal drammatico allo storico, dai thriller d’azione ai polpettoni romantici, i grandi generi che anche noi conosciamo ci sono tutti.

E in effetti quel poco di cinema cinese che arriva dalle nostre parti è lì a dimostrarcelo: partendo dai wuxia, quegli action movies spesso storici, pieni di arti marziali più o meno seriose che prima Bruce Lee (peraltro il meno ‘cinese’ del lotto) e poi Jet Li, Ang Lee e Jackie Chan hanno esportato in Occidente, per arrivare ai grandi film storici e drammatici di Zhang Yimou e dello stesso Ang Lee, in mezzo si può trovare veramente qualunque genere e sottogenere immaginabile. A dimostrarlo è lo stesso regista di Lanterne rosse che, dopo aver lanciato sul mercato internazionale il cinema cinese verso i primi anni ’90, insieme ad alcune giovani e bellissime attrici come Gong Li e Zhang Ziyi, si è dedicato a film più commerciali e infarciti di azione, arti marziali e funambolici combattimenti di spada, come Hero o La foresta dei pugnali volanti. Allo stesso modo ha fatto Ang Lee, che si è cimentato nel genere con La tigre e il dragone.

Anche Hollywood si è accorta della Cina, e, dopo la rara eccezione di 55 giorni a Pechino del 1963, con Charlton Heston e David Niven sulla rivolta dei Boxer, a partire dagli anni ’80 i film occidentali ambientati nella Terra di Mezzo sono aumentati in maniera esponenziale: L’Impero del Sole e Indiana Jones e il tempio maledetto, entrambi di Spielberg ed entrambi in parte ambientati a Shanghai, L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, Mission:Impossible III che ha una scena girata a Xitang, i film di animazione Kung Fu Panda e il disneyano Mulan sono soltanto alcuni esempi.

Quello che arriva in Cina dall’Occidente è allo stesso modo molto vario: basta guardare i negozi di dvd nei sottopassaggi della metropolitana o tra i banchetti dei venditori ambulanti per vedere migliaia e migliaia di titoli diversi, in cui c’è veramente tutto: da Fellini a Truffault, da Hugh Grant a Bud Spencer, da Stallone a Vin Diesel. Tutto rigorosamente illegale e contraffatto, sebbene vada precisato che il classico luogo comune sui Cinesi che copiano gli originali occidentali sia vero solo in parte: in Cina per moltissimi articoli si può trovare sia l’originale di marca (a prezzi vicini a quelli europei) che il contraffatto, e questo vale per abbigliamento ed elettronica (con l’unica isola felice di Hong Kong, dove l’originale di marca si trova davvero a prezzi più economici), ma non per i film in dvd che, effettivamente, sembrano in apparenza esistere solo in formato contraffatto.

Detto questo,  segnalo anche una passione sfrenata e per me inspiegabile del popolo cinese per i Transformers: molti dei ragazzi che lavorano da animatori ad Agorà me ne hanno parlato in toni entusiastici, e inoltre al quartiere 798 di Pechino, al Loft Design Center di Taicang e davanti a un cinema a Jiaxing ho trovato statue alte anche 5-6 metri dei robottoni cinematografici. Mah…

Prima di salutarvi vi segnalo un articolo tratto dal blog Photobuster dell’amico Paolo Bertotti, fototecnico e ufologo (di quelli seri che analizzano a fondo immagini e filmati e non parlano di omini verdi) con cui ho collaborato per la mostra alieNazioni che abbiamo presentato l’anno scorso al Festival della Scienza. Paolo parla dei bellissimi aquiloni decorati con luci a led nati qualche anno fa in Cina e utilizza alcune foto che ho scattato nel quartiere di Pudong a Shanghai e che ho provveduto ad inviargli qualche giorno fa. Prendete nota perchè tra qualche mese questi oggetti arriveranno dalle nostre parti e illumineranno anche i cieli italiani. Occhio quindi a non parlare di astronavi aliene prima di averli visti!

Zaijian,

fonso

Un pochino di Pechino – seconda parte

31/08/2011

Superata l’inevitabile meraviglia iniziale di fronte alla maestosità della Grande Muraglia cinese, con il suo movimento sinuoso lungo la cresta dei monti interrotto a brevi intervalli dalle sue torri di guardia, viene naturale porsi più di una domanda: quanti uomini furono impiegati nella sua costruzione? Non essendo perfettamente dritta, è possibile stimare quanto sia effettivamente lunga? È vero che gli operai morti nella realizzazione furono sepolti nelle sue fondamenta, o che sia davvero l’unica opera dell’uomo visibile dalla Luna? E soprattutto, cosa passava per la testa del primo Imperatore della Cina, il famigerato Qin Shi Huang, contemporaneo del ‘nostro’ Archimede, per poter anche solo pensare di fermare le regolari invasioni delle aggressive popolazioni mongoliche del Nord con un muro largo meno di 10 metri?

Ad alcune domande è possibile dare una risposta, per altre si può solo rimanere nel campo delle ipotesi che, va detto, aumentano non di poco il fascino di un’opera che è stata comunque eletta come una delle sette meraviglie del mondo moderno, classificandosi  addirittura prima nelle votazioni per questa insolita competizione.

Intanto per quanto riguarda la visibilità dallo spazio si rientra chiaramente nel campo delle leggende metropolitane: un muro di larghezza variabile mediamente dagli 8 ai 10 metri, sebbene lungo migliaia di chilometri, è assolutamente invisibile dalla Luna così come anche le città più grandi e luminose. Se si dice invece in senso più generico ‘visibile dallo spazio’ si tratta di un discorso privo di senso, troppo vago: a pochi chilometri di distanza dalla terra si è già nello ‘spazio’, e in questo caso è effettivamente possibile distinguere la muraglia, ma di certo non è l’unica opera creata dall’uomo ad essere visibile ad un’altezza così bassa!

Sulla lunghezza effettiva le stime sono state corrette in tempi recenti: Wikipedia parla di 8851 chilometri totali, che però potrebbero variare in futuro: alcune parti della muraglia sono difatti state scoperte in anni recenti, dopo che per secoli erano state nascoste dalle sabbie dei deserti della Cina occidentale, e per lo stesso motivo altre se ne potrebbero scoprire in futuro; allo stesso modo però le stime potrebbero essere ritoccate al ribasso: non tutta la muraglia è destinata a resistere all’usura del tempo, dato che la parte occidentale è stata creata principalmente con mattoni di argilla essiccati al sole invece che con la pietra viva tipica dei tratti orientali ed è pertanto ben più fragile e suscettibile all’erosione.  I tratti di muraglia costruiti nel deserto devono inoltre fronteggiare l’usura data da una fortissima escursione termica che disgrega le rocce, oltre al continuo logorio causato delle sabbie trasportate dai venti.

Sulle sepolture degli operai dentro la muraglia ho sentito invece pareri contrastanti: dalle guide turistiche che assicurano che sia totalmente e assolutamente vero, forse anche per aumentare il fascino e l’attrattiva dell’opera (come se ce ne fosse bisogno) ad altri che invece affermano che le migliaia (o forse i milioni) di operai sacrificati nei secoli per la realizzazione di questa opera fantasmagorica siano stati sepolti non sotto, ma a fianco della costruzione, dato che generalmente un cadavere non può in alcun modo ricoprire la funzione di fondamenta per un muro pesante tonnellate.

Per quanto riguarda il Primo Imperatore Qin Shi Huang invece sono i libri di storia a parlare: colui che unificò l’Impero Celeste difatti, oltre a dare il via a questa imponente opera di protezione che sarebbe stata completata molti secoli dopo, fu anche l’artefice dell’incredibile armata dei guerrieri di terracotta presente nelle vicinanze di Xi’An, dove si trovava la sua capitale imperiale, riportata alla luce soltanto nel 1974 ed una delle massime attrattive turistiche della Cina moderna. Violento e sanguinario, estremamente superstizioso, terrorizzato dalla morte e dalle congiure di palazzo e ossessionato dall’idea dell’immortalità, il Primo Imperatore è ricordato anche per aver dato alle fiamme milioni di testi storici e religiosi e successivamente per aver fatto seppellire vivi 460 intellettuali e studiosi di Confucio che avevano criticato questa sua barbarie. A conti fatti, la costruzione di un’opera tanto faraonica quanto sostanzialmente inutile come la Grande Muraglia non fu il suo peccato più grande.

Ancora stanco dalla maratona pechinese del giorno precedente (raccontata nell’ultimo post), per il secondo giorno del mio viaggio ho optato per una scelta molto turistica ma anche pratica, ovvero il giro guidato in pullman fino a Badaling, a circa 70 chilometri a nord della capitale, dove si trova  il tratto più celebre della Muraglia oltre che il primo ad essere stato aperto ai turisti, nel 1957.

Restaurato in varie parti e comunque in uno stato di conservazione pregevole, il Great Wall a Badaling è accessibile tramite aperture a livello della strada asfaltata, ma il tour più ‘scenografico’ prevede un accesso ad uno dei punti sommitali con una funivia decisamente in vecchio stile, molto spartana e di quel particolare tipo che non si ferma mai e su cui bisogna balzare al volo per salire a bordo.

L’ascesa è comunque assolutamente meritevole dato che dall’alto si può godere di una vista molto migliore ed evitare parte della ressa di migliaia e migliaia di turisti che affollano le parti più basse della muraglia.

Lo stato di conservazione dell’opera è però direttamente proporzionale ai lavori di recupero che sono stati compiuti: negli anni ’50 e poi negli anni ’80 massicci interventi di restauro hanno consolidato e reso accessibili ampi tratti dell’opera, ma dei materiali originari poco è rimasto. In ogni caso questo è abbastanza comprensibile dato che, come dicevamo, il primo tratto venne edificato nel 215 a.C., diciassette anni dopo la morte di Archimede per mano di un soldato romano durante l’assedio di Siracusa, giusto per dare un riferimento ‘occidentale’. Parliamo di tempi antichissimi quindi, e soprattutto di un’opera che per millenni ha avuto una discreta importanza strategica (nonostante la modesta efficacia) per gli imperatori cinesi, che in più occasioni nel corso dei secoli hanno fatto ricostruire, consolidare e perfezionare la protezione del limite settentrionale dei loro possedimenti.

Ovviamente un giro turistico così standardizzato prevede anche alcune tappe evitabili, come la visita ai laboratori della giada con ovviamente annessi negozi e gioiellerie dove i turisti più entusiasti possono svuotare il proprio portafogli,

o ai mercati della seta, altra grande invenzione della Terra di Mezzo, in cui una visita guidata a un laboratorio dimostrativo sulla filatura del tessuto creato dagli industriosi bachi di Bombyx mori porta direttamente a un centro commerciale interamente dedicato alla vendita dei preziosi filati, in ogni forma e utilizzo possibile: dalle camicie alle cravatte, dai cuscini alle trapunte.

  

Durante il trasferimento c’è però un’altra tappa ‘storica’ di assoluto interesse, 50 Km a nord di Pechino: le tombe degli imperatori della dinastia Ming, che regnarono sulla Cina in un periodo che va dal XIV secolo alla seconda metà del XVII secolo, prima dell’avvento della dinastia manciù dei Qing.

 

Tolti i primi due imperatori della dinastia che vennero sepolti a Nanchino, ai loro tempi capitale del’impero, tutti gli altri discendenti della famiglia reale vennero tumulati qui dove, oltre ad alcuni mausolei di assoluto interesse, è possibile vedere quello che è presumibilmente il primo nucleo storico della moderna capitale dell’Impero Celeste.

 

Torniamo a parlare di tempi moderni: la Cina è una nazione in fermento e crescita continua e sta cambiando il proprio volto ad un ritmo ineguagliato nel resto del mondo. Pechino in quanto capitale di questo universo a sé stante non è certo da meno e questo lo si può vedere nell’area che tre anni fa ha ospitato i Giochi Olimpici estivi: il clou è sicuramente rappresentato dallo stadio ribattezzato ‘nido d’uccello’ (Bird’s nest) che ha ospitato le memorabili cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi oltre alle gare d’atletica;  lo stadio, illuminato di notte e adornato da uno specchio d’acqua e da un parco, è ora un’attrazione turistica oltre che la sede di eventi sportivi di grande prestigio (questa estate ha ospitato -principalmente per motivi pubblicitari- la finale di supercoppa italiana);

 

ma c’è anche il Water Cube che ha invece ospitato le gare olimpiche di nuoto,

e tutt’intorno c’è un’ampia area con grattacieli, centri sportivi e commerciali che è visitata da migliaia di turisti e famiglie pechinesi ogni giorno. Inoltre ci sono i modernissimi appartamenti del villaggio olimpico, attualmente affittabili ai più costosi prezzi al metro quadro di tutta la Cina.

 

Questa voglia di fare, costruire, rimodernare sembra adattarsi bene ai grandi eventi sportivi internazionali, dato che la Cina, dopo il successo delle olimpiadi pechinesi, è stata prescelta come sede di molti altri importanti avvenimenti come le Universiadi a Shenzen e i mondiali di nuoto a Shanghai quest’estate, o i Giochi della Gioventù che avranno luogo a Nanchino nel 2013.

C’è tutto un altro volto della Pechino moderna che invece si trova nella periferia nordorientale della città, nel cosiddetto Quartiere 798.

  

Si tratta di un’ex area industriale degli anni 50-60, realizzata da Mao in collaborazione con la Germania Est e l’Unione Sovietica, in disuso a partire dagli anni ’80 e che da poco più di dieci anni è iniziata a diventare una zona di attrazione per artisti per lo più pechinesi ma talvolta anche stranieri, che hanno colto l’opportunità di sfruttare una zona a basso costo e non troppo decentrata come location per gallerie e negozi dove esporre e vendere le proprie opere.

 

Quello che è possibile visitare attualmente è un quartiere vivido, particolare, diverso dal resto di Pechino e ben più somigliante a un qualche scorcio della Berlino del Bauhaus piuttosto che ad un’area di una moderna città cinese. Il che sottolinea, una volta di più, il grande fermento, non solo economico ma anche culturale, che sta vivendo la capitale di questo paese.

Purtroppo, come già sapevo prima di partire, il tempo a disposizione era davvero poco per visitare una città del genere, e, dopo aver visto soltanto da lontano il mastodontico grattacielo della CCTV con la sua struttura insolita e le sue dimensioni imponenti, non mi restava altro che fare le valigie e prepararmi al ritorno, ma prima di salutare Pechino ho ben pensato di fare una capatina ad un’altra attrazione, presente a pochi metri dal mio albergo, dove molti cinesi e qualche turista occidentale fanno regolarmente il loro spuntino serale: il mercato notturno Donghuamen.

 

Oltre a spiedini di carne, frutta e dolci vari qui è possibile degustare alcune prelibatezze tipiche del nordest della Cina, come cavallucci marini, insetti di vario genere, scolopendre e soprattutto scorpioni, tutti rigorosamente passati alla fiamma e infilzati sul proprio spiedino. Ovviamente le immagini che seguono le dedico ad amici e amiche (soprattutto amiche) che si erano detti schifati dal serpente che avevamo mangiato a Shanghai. Scommetto che dopo questi spuntini particolari il serpente non vi farà più tutta questa impressione, anzi lo troverete quasi gradevole.

    

Finita la mini-trasferta si ritorna al lavoro laddove tutto era cominciato: trasferimento di Agorà da Jiaxing (e dalla regione dello Zhejiang che ci ha ospitato per oltre due mesi) a Shanghai, nel distretto settentrionale di Hong Kou, per la penultima tappa del nostro tour cinese. Il nostro viaggio non è ancora finito, restate in ascolto perché ci saranno ancora novità e qualche sorpresa!

Zaijian,

fonso

Un pochino di Pechino – prima parte

26/08/2011

In soli quattro giorni non si può certo pretendere di vedere tutto quello che è degno di essere ammirato in una città maestosa ed immensa come Pechino, la capitale dell’Impero Celeste. Tanto più se due di questi giorni sono in buona parte dedicati ai viaggi di trasferimento: in corriera da Jiaxing a Shanghai e in aereo (poco più di mille km) da Shanghai e Pechino, l’inverso al ritorno. Non è di aiuto neanche il fatto che Pechino sia una delle città più grandi della Cina, con i suoi 16 milioni di abitanti stimati, tra residenti, pendolari, immigranti non registrati e tanti, tantissimi stranieri presenti per lavoro o turismo. In ogni caso ho sfruttato al massimo le mie doti di turista ossessivo-complusivo per vedere il maggior numero di tappe possibili, e tutto sommato sono riuscito a lasciare la Capitale del nord senza rimpianti. Cercherò di farvi un bignami di questa visita, diviso comunque in due parti, per rendervi partecipi della meraviglia che è questa città.

L’arrivo nella tarda serata di lunedì non mi ha impedito di fare una breve uscita di ricognizione, durante la quale ho assistito ad una delle scene più belle viste da quando sono in Cina: i balli di gruppo di fronte alla cattedrale di San Giuseppe, la principale chiesa cattolica della capitale. È normale vedere gruppi di persone -soprattutto anziane- ballare nelle piazze alla sera al suono degli amplificatori portatili che diffondono musiche “da balera” cinesi, ma con l’inedita variante della chiesa sullo sfondo beh, questo in effetti mi mancava! Dopo questo simpatico siparietto e una visita rapida ad alcuni Hutong (vicoli) vicino all’albergo, ho pianificato con cura le tappe dei giorni successivi.

 

La prima visita obbligatoria da fare a Pechino è la Città Proibita, la residenza degli imperatori della Cina per circa cinque secoli, oltre che il punto centrale del reticolato perfettamente ortogonale delle strade che disegnano la mappa della capitale. Si tratta, come dice anche il nome, di una città dentro alla città, con dimensioni imponenti (720.000 metri quadrati di superficie complessiva, quasi mille edifici con oltre 8700 stanze al loro interno), mura di protezione che la cingono sui quattro lati, e amplissime aree destinate ai più svariati utilizzi.

  

La Città Proibita venne edificata durante la dinastia Ming, dal 1406 al 1420 d.C. e da allora ospitò tutti i sovrani cinesi, sia Ming che della successiva dinastia Qing, fino alla deposizione dell’ultimo imperatore Aisin Gioro Pu Yi nei primi anni del XX secolo. Dal 1925 è un museo, visitato ogni anno da migliaia di turisti provenienti dalla Cina e da tutto il mondo, ed è stato nominato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

Cercando di evitare la ressa mi sono recato dagli ingressi della Città Proibita già armato di biglietto prima della sua apertura alle 9 del mattino. Un grande cortile fa da anticamera alla città imperiale vera e propria e in quest’area abbondano negozi di souvenir e venditori ambulanti, ma è anche possibile vedere alcune esercitazioni militari di una caserma presente all’interno dell’area.

 

Lo sforzo di arrivare all’ingresso il prima possibile si è rivelato tutto sommato inutile, dato che moltissimi altri visitatori erano già in attesa e si sono riversati dentro la residenza imperiale a migliaia all’apertura dei cancelli, formando un fiume di gente proporzionale alle maestose dimensioni del luogo.

 

Il motivo di questa fretta è facilmente comprensibile: la Città Proibita richiede svariate ore per essere vista nella sua interezza: sembra non finire mai con tutti i padiglioni centrali che si susseguono, larghi decine e decine di metri e tutti dotati di una sala del trono centrale, che non lasciano intuire se la Città finisca lì o continui alle loro spalle. Inoltre, soprattutto verso la fine, le aree laterali con cortili e spazi dedicati a varie attività si rivelano la vera chicca della visita: dalle stanze in cui abitavano gli eunuchi che facevano da scorta all’Imperatore, ai centralini telefonici d’epoca, per finire in una serie di giardini curati con una perizia quasi maniacale e adornati da specie vegetali ricercate e di rara bellezza.

   

L’ingresso della Città Proibita è a sud e si affaccia su Tien’anmen, la più grande piazza del mondo, anch’essa risalente all’inizio del XV secolo e ristrutturata più volte nel corso dei secoli. Sulle mura esterne della residenza imperiale campeggia il celebre ritratto di Mao Zedong, mentre, dal lato opposto della piazza e a quasi un chilometro di distanza, si trova il mausoleo/memoriale dello stesso chairman, visitato ogni giorno da migliaia e migliaia di persone che con assoluta devozione aspettano per ore in coda per poter vedere la mummia dell’artefice della Repubblica Popolare Cinese, esposta al suo interno.

  

Proseguendo ancora più a sud si ritorna al passato: l’altra visita obbligatoria per i visitatori della capitale è infatti il Tiantan o Tempio del Cielo, anch’esso edificato dai Ming ed uno dei più importanti luoghi di culto taoisti al mondo. Circondato da un grande parco e da vari padiglioni disposti al suo interno, il tempio ha nella sua zona più alta la Sala della Preghiera per un buon raccolto, un padiglione realizzato in legno decorato che è uno dei simboli di Pechino e della Cina, nonché uno dei monumenti meglio conservati dell’epoca Ming.

 

Due volte all’anno, per pregare per un buon raccolto, l’imperatore si recava in processione dalla Città Proibita al Tempio del Cielo indossando particolari paramenti. I comuni mortali non erano autorizzati ad assistere a questa cerimonia e lo stesso sovrano per circa tre settimane doveva dedicarsi interamente alla preghiera e all’ascetismo, conducendo vita di isolamento totale dentro ad un apposito padiglione del Tempio.

 

Nel grande parco all’interno del tempio è possibile vedere, in mezzo alle solite bancarelle e ai venditori ambulanti, anche qualche giocoliere maestro nell’utilizzo del nastro tradizionale, simile a quello della moderna ginnastica ritmica.

Dopo una breve tappa (per me obbligatoria) al dimenticabilissimo museo di Storia Naturale che si trova  a breve distanza dal tempio, mi sono recato a nord-ovest per vedere la residenza estiva degli imperatori, lo Yiheyuan, fatto costruire a metà del XVIII secolo dall’imperatore Qianlong della dinastia Qing.

Per raggiungerlo bisogna attraversare un lungo corridoio coperto, interamente realizzato in legno decorato a mano, che fa da giusta premessa a quanto si va a visitare.

Il palazzo, manco a dirlo, è imponente, arroccato com’è su una collina da cui si domina una vallata su cui è stato creato appositamente uno specchio d’acqua, il lago Kunming, solcato attualmente da decine di imbarcazioni affittate dai turisti. La visione per me è familiare, e non a caso: il lago venne creato per emulare lo Xi Hu di Hangzhou e la sua meravigliosa atmosfera che, evidentemente, era un po’ invidiata dagli imperatori pechinesi. Il palazzo era inoltre particolarmente amato dall’imperatrice vedova Cixi, che lo fece ristrutturare ed ampliare negli ultimi anni dell’impero.

L’ultima visita della giornata è stata dedicata al parco Jingshan, che confina a nord con la Città Proibita ed ha al suo interno una collina alta una cinquantina di metri su cui sono costruite alcune piccole pagode laterali attorno ad un padiglione centrale, tutto secondo l’architettura tradizionale. Al calar del sole da qui è possibile ammirare la Città Proibita dall’alto, illuminata dalle soffuse luci notturne e ancora più affascinante che durante il giorno, per rendersi conto della sua incredibile estensione: tutto questo era creato per la soddisfazione di un uomo solo, l’imperatore, considerato dal popolo cinese un dio in terra, al punto che anche la capitale dell’impero era stata pianificata e costruita intorno alla sua residenza.

La struttura degli Hutong, infatti, oltre alle classiche regole del Fengshui che imponevano un orientamento Nord-Sud delle case e conseguentemente Est-Ovest delle strade su cui si affacciavano, prevedeva una struttura concentrica delle vie attorno alla Città Proibita, fino ad arrivare alla periferia della città di Pechino. I nobili ed i dignitari di maggior importanza potevano abitare nelle vie più vicine alla residenza imperiale, i borghesi e le classi medie nei cerchi immediatamente al loro esterno, mentre le case dei poveri si trovavano nelle periferie ai quattro lati della città. Nel corso dei secoli varie modifiche sono state apportate a questo sistema di urbanizzazione, ma la struttura concentrica della città è rimasta.

Quello che è scomparso sono le costruzioni tradizionali degli Hutong, progressivamente demolite per fare spazio a strade sempre più ampie e a moderni alberghi e uffici. Non ne rimangono molti, e, pur trovandomi in pieno centro, sono riuscito a vederne e fotografarne ben pochi. A tal proposito vi segnalo la mostra di Andrea Sessarego, vecchia conoscenza di chiunque abbia mai avuto a che fare col Festival della Scienza, dedicata proprio agli Hutong, contenente immagini di tre anni fa, ovvero poco prima delle Olimpiadi e della cancellazione di tanti altri vicoli storici della Pechino vecchia.

Tutto questo, credeteci o no, l’ho visto durante il mio primo giorno di visita della capitale. Nella prossima puntata (che bello dire così, mi sento un po’ Piero Angela!) parlerò delle altre tappe viste nella seconda e ultima giornata della  mia mini-trasferta, ovvero la Grande Muraglia, l’area olimpica e la nuova Pechino, quella che vive e progetta il futuro della Cina e del mondo intero con un ruolo di assoluta protagonista.

Zaijian,

fonso

Red lanterns & green lasers

19/08/2011

Sto sfruttando questi giorni di agosto a Jiaxing per cercare di vedere da vicino la Cina più autentica, quella non ancora completamente inquinata dal consumismo come Shanghai, quella ancora lontana dalla ricchezza economica e culturale di Hangzhou, e in generale tutte quelle zone provinciali del paese ancora distanti dalla progressiva occidentalizzazione che sta radicalmente cambiando il volto della nazione in questi ultimi decenni.

In effetti si tratta di un’impresa tutt’altro che semplice: vuoi per i limiti imposti dalla lingua, vuoi per la difficoltà di capire come funziona una ‘cittadina’ (si fa per dire) provinciale della Cina ad agosto, con i bambini che sono ancora liberi dalla scuola fino ai primi di settembre e gran parte degli abitanti che sono rimasti in città, in certi casi per mancanza di mezzi economici che permettano di fare vacanze lunghe, ma molto spesso perché, da quanto mi è stato detto ed ho constatato di persona, qui le persone vanno in ferie per periodi brevi e più scaglionati nel corso dell’anno rispetto all’Italia: c’è chi va a giugno, chi a settembre, chi anche in inverno. 

Questo per la nostra mostra è sicuramente un aspetto positivo: il science center che ci ospita è stato visitato da più persone di quante si potesse prevedere in pieno agosto, e anche se buona parte di questi visitatori erano bambini accompagnati dai genitori o ben più spesso dai nonni, frequentemente ci hanno fatto visita gruppi di campi scolastici estivi che hanno riempito la sala all’improvviso, in afose mattinate di piena estate in cui non ti aspetteresti anima viva.

 

Tra l’altro la fortuna ha voluto che a fianco del centro ci sia la sede di uno di questi campi estivi che in più di un’occasione ha improvvisato una visita, riempiendo da un momento all’altro tutta l’area centrale del complesso, dedicata alla nostra mostra sugli scienziati dell’Antichità.

  

Durante il giorno a Jiaxing molta gente se ne sta rintanata in casa per il caldo, ma se capita la giornata un po’ più vivibile si può visitare il mercato dei fiori e degli uccelli, popolato da decine e decine di piccoli negozi che, a discapito del nome, vendono praticamente qualunque tipo di animale da compagnia o pianta da giardino.

 

Pesci rossi, tartarughe, criceti, cani di piccola e media taglia si aggiungono a diamanti mandarini, parrocchetti e cardellini che affollano migliaia di gabbie e sono di gran lunga gli animali da compagnia più diffusi qui in terra d’oriente.

    

A tal proposito, la sensibilità dei Cinesi per i loro amici volatili è così sviluppata che in alcune città ci sono vie e parchi che fanno da ritrovo per gli anziani ma dove, oltre a giocare a carte e fare quattro chiacchiere come ovunque nel mondo, questi portano con sé il proprio uccellino in gabbia in modo che anche lui possa avere compagnia e farsi nuovi amici.

  

Mercati e mercatini a parte, la città di Jiaxing ha alcuni altri luoghi di assoluto pregio come la pagoda di Haogu, ricostruita in tempi recenti, che si affaccia sulle sponde del Lago Meridionale e dalla cui cima si può godere di una vista affascinante, che fa vedere una città non molto ricca ma sicuramente armoniosa e ben tenuta,  immersa nel verde dei parchi e bagnata dalle acque di mille canali.

  

Dopo il tramonto, come un po’ tutte le città cinesi, Jiaxing diventa ancora più bella, vuoi per le luminarie  tradizionali che illuminano i vicoli del centro storico e si riflettono sui corsi d’acqua, vuoi per i mille negozietti  e bancarelle che restano aperti fino alla tarda sera per permettere a chi vuole girare un po’ la città di evitare il caldo torrido del pomeriggio.

 

Qua e là si possono vedere anche artisti di strada, musicisti tradizionali, gruppi corali e persino ballerine che si esercitano in mezzo alle piazzette illuminate soltanto dalle luci rosse delle lanterne.


Le luci colorate le abbiamo furbescamente sfruttate anche noi: l’exhibit che ha riscosso più successo qui (almeno tra i curatori del centro, espertissimi di eventi  scientifici e mostre sullo stile di Agorà) è stata la quadratura del cerchio, in cui avviene la dimostrazione di uno dei classici studi di Archimede con tutti gli annessi e connessi, tra cui come trovare un quadrato con la stessa area di un dato cerchio. L’exhibit consiste in una lastra circolare di plexiglass spessa circa 2 cm dentro cui viene proiettato un raggio laser che si riflette lungo la parete interna, disegnando un poligono il cui numero di lati può essere aumentato cambiando l’inclinazione del laser: più è alto il numero dei lati, più il poligono si avvicina all’area del cerchio. Il visitatore può cambiare questa inclinazione, e conseguentemente il poligono proiettato, semplicemente ruotando una manopola. Abbiamo constatato con piacere come questo fosse un qualcosa di inedito per il pubblico cinese che si è dimostrato difatti molto interessato alla nostra “quadratura”.

Un altro exhibit di grande successo riguarda gli studi di Apollonio di Perga sulle sezioni coniche ovvero ellisse, parabola e iperbole; nel nostro esperimento queste linee curve sono identificate utilizzando un laser (questa volta la proiezione di un piano e non di un raggio semplice) verso un doppio cono di plexiglass alto circa 2 metri: nell’oscurità le figure risaltano per bene ed hanno un grande effetto visivo. Questa non è altro che la riproposizione in grande stile di un classico exhibit scientifico in cui un cono di legno è ‘affettato’ in più parti che identificano le tre grandi famiglie di sezioni coniche, ma proposta in questa forma, grazie anche a una struttura ricoperta da tendoni neri che la circonda per creare il buio necessario, ha un fascino ben maggiore che sembra essere particolarmente apprezzato dal  pubblico.

Rinfrancati da questo agosto più vivace del previsto ci prepariamo ad affrontare gli ultimi giorni di mostra in questa accogliente città che ci ha offerto alcune gradite sorprese; prima di partire e ritornare a Shanghai c’è però ancora una tappa fondamentale da fare: la Capitale del Nord  mi attende nei prossimi giorni e, visto che le cose da vedere saranno tantissime mentre il tempo sarà estremamente limitato, bisognerà essere preparati per bene… seguirà un report completo sulla mia “maratona” pechinese, per cui tenete gli occhi aperti e le orecchie ben tese!

Zaijian,

fonso

Waterways

12/08/2011

La Cina è una terra di ambienti estremi: dal clima temperato delle regioni centrali e orientali si passa alle foreste lussureggianti del Sud, in particolare nella splendida provincia dello Yunnan, per passare al freddo polare di alcune zone della Mongolia Interna e dell’immenso e desolato altopiano del Tibet (chiamato Xizang dai cinesi), fino ad arrivare agli aridi deserti, in particolare il Gobi a nord e il leggendario Taklamakan a nord-ovest, quest’ultimo attraversato da Marco Polo e da lui descritto con minuzia di particolari ne Il Milione.

Tutta la Cina orientale però, ovvero quella che noi occidentali conosciamo meglio, quella di Shanghai e Nanchino, di Pechino e di Hong Kong, ha nella sua interezza un elemento fondamentale che domina il paesaggio: l’acqua.

Acqua dei mari che la costeggiano a est, acqua dei suoi grandi fiumi (tra gli altri l’immenso Fiume Azzurro/Yangze e il Fiume Giallo), acqua dei laghi artificiali e naturali che abbelliscono alcune delle sue grandi città come Nanjing o Hangzhou, acqua delle risaie che scolpiscono e ridisegnano il paesaggio per centinaia e centinaia di chilometri, acqua del Grande Canale di cui ho parlato in un altro post, ed infine l’acqua che si insinua con stretti passaggi in mezzo alle case e abbellisce alcune cittadine storiche della regione dello Zhejiang, dove mi trovo attualmente.

Tra queste, due sono di particolare pregio ed interesse per i turisti soprattutto cinesi ma in qualche caso anche occidentali: Xitang e Wuzhen.

Approfittando dei giorni di libertà (il lunedì e il martedì il science center che ospita Agorà è chiuso) ho visitato questi scenic spots, entrambi a pochi chilometri di distanza dalla città di Jiaxing dove ci troviamo attualmente: a nord-est Wuzhen, ad ovest Xitang.

La prima che ho visitato, Wuzhen, può fregiarsi di un titolo molto più che onorevole, la Venezia d’Oriente. Il perché è abbastanza evidente: stretti canali di acque basse solcate da imbarcazioni tradizionali, piccole case in legno, alti e antichi ponti di pietra. Non c’è la laguna e San Marco, i gondolieri e l’acqua alta, ma con le dovute proporzioni anche questo antico villaggio nel suo piccolo ha un fascino che può riportare alla mente la Serenissima.

  

Popolato da circa diecimila residenti durante tutto l’anno e più o meno da altrettanti turisti ogni giorno di luglio e agosto, Wuzhen ha anche alcuni luoghi di assoluto interesse culturale: dalla casa che fu per anni del grande e amato scrittore del Novecento Mao Dun, attualmente trasformata in un museo sulla sua vita e le sue opere,

a un piccolo museo sugli usi e costumi tradizionali della Cina, con interni d’epoca, abiti tradizionali e riproduzioni di ambienti familiari appartenenti ad un mondo che ormai non esiste più,

 

a una chiatta attraccata in un’insenatura dove alcuni maestri di Kung Fu presentano ad ogni ora uno spettacolo dimostrativo sulla propria arte, la Kung Fu boat,

fino ad arrivare ad un’antica distilleria di baijiu, il tradizionale liquore di riso cinese, conservata perfettamente con tanto di strumentazioni e recipienti d’epoca.

Tra gli stretti vicoli che si snodano in mezzo alle case di legno si possono trovare numerosi artigiani tradizionali che hanno trasformato i propri laboratori in negozi di souvenir, dove però i turisti oltre a fare semplice shopping possono in più vedere la nascita sul momento dell’oggetto che acquistano: dalla coperta di lana al ventaglio decorato a mano, dalla collana alla statuetta in legno.

  

Mentre la mia visita a Wuzhen è avvenuta ‘in solitaria’ in pieno giorno, per Xitang ho accettato ben volentieri un invito dei colleghi a cenare e trascorrere la serata in una cittadina che mi avevano garantito essere ancora più bella ed affascinante, soprattutto perché quasi sconosciuta ai turisti occidentali.

 

Quasi sconosciuta perché, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, alcuni anni fa Hollywood è arrivata qui, portando fama e notorietà anche al di fuori della Cina. Qua e là infatti è possibile vedere qualche evitabilissimo cartello con su scritto Tom Cruise was here, o qualcosa del genere.

L’occidente, una volta arrivato, non è più andato via: è comparso in alcuni locali tradizionali tramutati nei più classici negozietti di souvenir, nei bar karaoke dove musicisti più o meno improvvisati suonano canzoni degli Eagles o dei Bon Jovi, nelle lanterne luminose galleggianti da lasciare sulle acque dei canali per esprimere un desiderio.

 

Se questo sia un bene o un male non lo so, certo è che parte del fascino antico del villaggio tradizionale cinese si è perso a discapito di un maggiore benessere economico, sicuramente apprezzato da chi a Xitang ci vive, ma va detto che in ogni caso la bellezza degli scenari e dei vicoli, delle case di legno e dei canali su cui si riflettono le luci delle lanterne rosse è assolutamente intatta, ed è questa, probabilmente, la cosa più importante.

 

Tutto questo mentre anche il lavoro fila via liscio senza intoppi: Agorà è ancora ospite di Jiaxing e qui vi resterà fino alla fine di agosto. I visitatori sono sempre interessati e attivi: vogliono toccare, provare, sperimentare tutto quello che c’è e sono curiosi soprattutto per quanto riguarda gli aspetti storici degli exhibit: da dove veniva Archimede, chi era Eratostene e come mai questo tal ‘Pitagora’ avesse reinventato un teorema che i Cinesi già conoscevano. Tutto questo è molto stimolante non solo per il confronto tra la cultura occidentale e quella orientale, ma soprattutto perché comincia veramente a delinearsi quella che è la conoscenza media del visitatore cinese: interessato, giocherellone, curioso, spesso già a conoscenza dei contenuti scientifici degli exhibits e allo stesso tempo ignaro di quelli storici, il che è normale visto che invece noialtri occidentali sappiamo poco o nulla dei grandi scienziati e matematici dell’antica Cina.

Tra l’altro, per restare in tema col post, anche Agorà ha un pochino di acqua nei suoi exhibits: la celebre coclea o vite di Archimede di cui vi ho già parlato solleva e trasporta l’acqua, mentre l’esperimento della sfera e il cilindro la sfrutta per dimostrare uno dei teoremi di cui lo scienziato siracusano andava più fiero: una sfera occupa esattamente due terzi del volume di un cilindro avente uguale raggio. Per dimostrarlo nulla di più semplice che calare una sfera in un cilindro dello stesso diametro, pieno per un terzo di acqua: una volta che questa tocca il fondo il livello dell’acqua sale fino a raggiungere esattamente la sua altezza, dimostrando visivamente un teorema geometrico ancora fondamentale ai giorni nostri.

Di sicuro da qui al suo ritorno in Italia questa sfera dovrà andare su e giù ancora qualche migliaio di volte per soddisfare la curiosità e la voglia di sperimentare di bambini e adulti cinesi, desiderosi di conoscere il pensiero e le scoperte di un uomo vissuto oltre 2000 anni fa, e, di questo siamo certi, Archimede ne sarebbe orgoglioso; ma anche noi umili divulgatori che la sua scienza semplicemente diffondiamo, potremo vantarci di aver esportato le sue scoperte fin nella Terra di Mezzo, e anche queste nel loro piccolo son soddisfazioni.

Zaijian,

fonso